Presentazione
sei in Dottrina / Pubblicazioni
Pubblicazioni

 

IL PROMOTORE NEL CODICE DEI CONTRATTI A SEGUITO DEL TERZO CORRETTIVO D.Lgs. 152/08
 
 
 
di Massimo Ricchi *
 
* - Professore a contratto in Legislazione delle OO.PP. - Diritto della Finanza di Progetto, Università “La Sapienza” di Roma”, A.A. 2006/08.
  - Le opinioni dell’Autore non intendono rappresentare le posizioni dell’Ente di appartenenza (Unità Tecnica Finanza di Progetto - CIPE - Presidenza del Consiglio dei Ministri).
 
 
 
 
SOMMARIO: 1. Introduzione; 2. Il coinvolgimento dei terzi nella programmazione; 3. Il promotore monofasico; 3.1 I contenuti del bando; 3.2 Il tempo delle modifiche della proposta; 3.3 Il criterio per comparare le offerte; 3.4 I termini e i contenuti delle offerte; 3.5 Il sistema delle garanzie; 4. Il promotore bifasico; 4.1 Il diritto di prelazione; 4.2 La seconda fase; 5. Il promotore additivo; 5.1 L’analisi delle proposte additive; 5.2 La dichiarazione di pubblico interesse; 5.3 I tre sub-procedimenti; 6. Come orientarsi tra i procedimenti con il promotore.
 
 
 
1. INTRODUZIONE
 
Il Legislatore italiano con il terzo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 11 settembre 2008, n. 152 (GU n. 231 del 2 ottobre 2008 - Supplemento Ordinario 227), rivoluzionando il procedimento con il promotore, continua nella sperimentazione del project financing e, in linea con quanto fatto dall’esordio nel 1998, preferisce consegnare alla pubblica amministrazione (PA) una serie di opzioni alternative, articolate in più fasi semplici e procedimentalizzate, piuttosto che lasciare la libertà di modellizzare questo particolare tipo di affidamento. Tale impostazione, che tiene conto dell’indole delle stazioni concedenti nazionali poco propense ad una completa gestione autonoma, ha contribuito in modo sostanziale allo sviluppo della finanza di progetto, trascinando anche l’altra forma di aggiudicazione del contratto di concessione, rappresentata dalla procedura ristretta ad iniziativa pubblica ex art. 144 del D.Lgs. 163/2006, Codice dei contratti pubblici (Codice); così portando il mercato complessivo delle concessioni, indipendentemente dai processi di affidamento, a rappresentare nel 2005, con circa 9 Mld €, il 25% di tutti i contratti per la realizzazione di opere pubbliche in Italia[1].
Con queste riflessioni “a caldo” sulla nuova disciplina, oltrechè cercare di mettere in chiaro i procedimenti, individuare i presupposti per azionarli ed indicare i nessi con gli altri articoli del Codice, si intende evidenziare l’accresciuta discrezionalità regolatoria in capo alla PA[2]. L’esercizio della discrezionalità regolatoria consente alla PA, negli spazi lasciati dalla norma, di adattare l’affidamento del contratto alla situazione concreta; le direttrici che presiedono la scelta sono sempre ispirate ai principi di rango comunitario, che come è noto mettono al centro la tutela della concorrenza[3]. Nonostante l’argomento regolatorio autorizzi più soluzioni interpretative per una stessa fattispecie e le indicazioni qui prospettate di conseguenza ammettono alternative, si è cercato di suggerire quelle azioni per rendere efficace ed efficiente l’attività dei soggetti aggiudicatori, soprattutto evitando le trappole interpretative incoerenti con l’impianto sistematico del Codice e con la tradizione giurisprudenziale[4] e dottrinaria maturata in questi anni di applicazione[5], che ha messo in risalto come le operazioni con il promotore siano connotate dal dialogo con il privato, guidato dall’interesse pubblico, rivolto all’eliminazione progressiva delle asimmetrie informative[6]. Infine, è sembrato utile fornire alla PA dei criteri per orientarsi nella scelta dei diversi procedimenti, che consentono l’affidamento dei contratti di concessione o, secondo la nuova definizione più estesa dell’art. 3, comma 15 del Codice, dei contratti di Partenariato Pubblico-Privato (PPP)[7].
Preme sottolineare come alla PA sia richiesto un profondo cambiamento nell’approccio all’affidamento dei contratti complessi[8]; prendendo coscienza di essere una piccola Autority antitrust[9] deve avere cura del mercato a cui si rivolge per sviluppare una sana concorrenza e allo stesso tempo deve condizionare l’offerta alle proprie richieste per centrare il pubblico interesse, poiché impersona la domanda di beni e servizi pubblici.
Uno degli aspetti problematici del previgente procedimento con il promotore era quello della durata, scandito sostanzialmente da tre potenziali gare. La molteplicità dei passaggi obbligati lo esponevano ad una inusitata possibilità di ricorsi giurisdizionali per un unico procedimento: naturalmente anche il tempo impiegato in se per arrivare alla conclusione non giocava a favore di un suo mantenimento. Con il terzo decreto correttivo al Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 152/08, è intervenuta la riforma del promotore che ha gemmato due procedimenti alternativi originali entrambi caratterizzati dalla semplificazione dell’articolazione del processo di gara e un terzo percorso, condizionato dall’inattività della PA, che apre a tre possibili sub-procedimenti: per comodità espositiva, cogliendo le caratteristiche di ciascuno, sono stati denominati rispettivamente promotore monofasico, promotore bifasico e promotore additivo.
 
 
2. IL COINVOLGIMENTO DEI TERZI NELLA PROGRAMMAZIONE
 
E’ stato migliorato il processo propositivo di inserimento nella programmazione di opere tramite il promotore da parte di terzi esterni all’amministrazione; infatti, i soggetti che possono presentare i suggerimenti da inserire negli atti programmatori, devono possedere dei requisiti di qualificazione molto più rigorosi a garanzia della serietà del loro impegno. Questa modalità programmatoria, ora disciplinata dal comma 19 dell’art. 153 del Codice, circoscrive i requisiti di qualificazione posseduti dagli operatori economici privati solo a quelli indicati al comma 8 e al comma 20, e non più genericamente riferibili a tutti soggetti pubblici e privati. Si noti come i soggetti pubblici non siano più menzionati, forse per evitare le interferenze reciproche nelle programmazioni tra amministrazioni pubbliche e per presa d’atto di scarso realismo della norma previgente.
Lo studio di fattibilità, redatto dai terzi qualificati, diventa l’unico documento da sottoporre alla PA ai fini dell’inserimento dell’opera nella programmazione pubblica; le semplici proposte di intervento non sono più sufficienti perchè non garantivano il necessario approfondimenti e costringevano, comunque, la PA diligente a redigere lo studio di fattibilità. Rimane inalterato l’impianto autorizzatorio che da facoltà alla PA di decidere se accettare la proposta di inserimento nella programmazione, senza l’obbligo di corrispondere un prezzo anche in caso di accoglimento e di acquisizione dello studio di fattibilità del privato. Inoltre, è stato imposto alla PA il termine sollecitatorio di 6 mesi per decidere se adottare gli studi di fattibilità proposti dai terzi: ciò a tutela dei privati che investono sulla redazione dello studio di fattibilità proprio per l’opportunità di vederlo accolto nei documenti programmatori in tempi certi, guadagnando così un lecito vantaggio competitivo sull’operazione successiva.
 
 
3. IL PROMOTORE MONOFASICO
 
L’attuale art. 153 del Codice accorpa i contenuti modificati degli artt. 154 e 155 previgenti e delinea il procedimento del promotore monofasico dal comma 1 al comma 14.
Le precisazioni riferite all’obbligo di predisposizione di uno studio di fattibilità prima di lanciare la gara, la possibile programmazione nell’elenco annuale delle opere pubbliche solo sulla base dello studio di fattibilità ex art. 128, comma 6 del Codice, la necessità di condizionare la pubblicazione del bando, che da l’avvio alla selezione del promotore, alle modalità previste ex art. 66 o 122 del Codice, rispondono ad esigenze minime di individuazione degli obiettivi pubblici e di comunicazione al mercato europeo[10].
Nella previgente disciplina questi standard erano stati messi in discussione dall’ambiguità delle disposizioni che consentivano interpretazioni elusive. Infatti, nella pratica si riteneva che lo studio di fattibilità non dovesse essere predisposto dalla PA o non dovesse essere approfondito adeguatamente in fase di programmazione, perché i concorrenti ne redigevano uno proprio al momento della presentazione della proposta[11]. Inoltre, il previgente art. 153, comma 3, prescrivendo la pubblicazione dell’avviso solo sui siti informatici di cui all’art. 66, comma 7 del Codice, consentiva di escludere la pubblicità in GURI e soprattutto in GUCE, perché l’avviso non veniva ritenuto un bando[12]; i commi 2 e 3 dell’art. 153 del Codice fugano ogni possibile equivoco sulla necessità di pubblicare un vero è proprio bando, utilizzando tutti i mezzi di pubblicità obbligatori che gli sono propri a seconda che il loro valore sia sopra o sottosoglia[13].
 
I contenuti del bando
Gli stessi commi 2 e 3 dell’art. 153 del Codice stabiliscono i contenuti obbligatori del bando riferendosi a quelli standard per le concessioni previsti dall’art. 144 del Codice; nel procedimento monofase, però, sono stati aggiunti due contenuti specifici.
Questi nuovi contenuti del bando, elencati nell’art. 153, comma 3, sub lett. a) e b), costituiscono il fondamentale meccanismo regolatorio del nuovo procedimento fissato dalla legge, in particolare sub lett. a) l’amministrazione aggiudicatrice, una volta individuato il promotore, ha la possibilità di chiedergli di apportare alla sua offerta quelle modifiche eventualmente intervenute in fase di approvazione del progetto e i conseguenti adeguamenti del piano economico-finanziario (PEF).
La vigente disciplina consente di stabilire i limiti, i contenuti e il tempo di esercizio del potere di richiedere modifiche all’offerta, che nel previgente art. 155, comma 1, lett. a) del Codice, era solo ellitticamente presupposto, laddove la PA poneva “a base di gara il progetto preliminare presentato dal promotore, eventualmente modificato sulla base delle determinazioni delle amministrazioni stesse”. Tale incisività prescrittiva ha autorizzato alcune posizioni interpretative rigide, che non ammettevano sostanziali modifiche al progetto e soprattutto al PEF, la cui variazione era il sintomo che si stavano travalicando i limiti consentiti di esercizio del potere di variazione. Quella posizione, rendendo intangibile la proposta, generava due inefficienze:
1)     la prima bloccava sine die i procedimenti di aggiudicazione le cui proposte erano sottoposte a richieste di modifica, perché i costi aggiuntivi non potevano trovare accoglimento nel PEF;
2)     la seconda, ancor più grave, non consentiva alla PA di modificare la proposta per centrare il pubblico interesse. La PA era obbligata nei fatti ad accettare una proposta mediocre piuttosto che azzerare una gara così complessa e dispendiosa.
La soluzione offerta dalla nuova formulazione dell’art. 153, comma 3, lett. a) non lascia dubbi riguardo la possibilità di apportare le modiche prescritte in sede di conferenza di servizi, disciplinate dagli artt. 14 bis e ss. della legge 7 agosto 1990, n. 241, per il richiamo del successivo comma 10, lett. c) all’art. 97 del Codice.
Neppure deve mettersi in dubbio la possibilità di richiedere modifiche progettuali e del PEF dalla stessa PA procedente in fase di approvazione del progetto: ciò sia per continuità con quella parte della giurisprudenza e dottrina[14] focalizzata sull’efficienza dell’azione amministrativa e sia, soprattutto, per l’esplicito richiamo normativo. La nuova disciplina sancisce una prescrizione di carattere generale, laddove al comma 3 si riferisce alle “modifiche eventualmente intervenute in fase di approvazione del progetto”: queste, infatti, comprendono sia le eventuali richieste di modifica della stessa PA che, ai sensi del comma 10, quelle generate dalla conferenza di servizi.
A questo punto si impone una riflessione supplementare proprio alla luce dei compiti regolatori della PA. Se dovessimo accettare la soluzione interpretativa che limita le richieste alle sole modifiche progettuali dell’amministrazione e a quelle emerse in conferenza di servizi -il PEF muta di conseguenza per mantenere il nuovo equilibrio economico-finanziario imposto dalle modifiche-, la PA si esporrebbe alla circostanza di poter sottoscrivere un contratto di concessione comprensivo di cospicue rendite non giustificate dai rischi assunti dal concessionario. Il limite della procedura monofase risiede nell’impossibilità di sottoporre a confronto concorrenziale la proposta prescelta per ridurre gli ingiustificati margini di profitto[15]. Questo esito si evita se la PA si comporta come un’Autority[16]: con la capacità valutare ed imporre, in fase di approvazione del progetto, l’eliminazione delle rendite, ad esempio ridimensionando i costi esposti di costruzione, i canoni richiesti alla PA per le opere fredde, il contributo pubblico in conto costruzione o gestione e procedere ad una più equa distribuzione dei rischi, etc, in altre parole far pagare meno alla collettività i servizi pubblici[17].
In una ricostruzione sistematica, la PA soddisfa il pubblico interesse non solo imponendo le modifiche progettuali ritenute opportune ma, anche, pagando al mercato il prezzo giusto per l’opera pubblica e per i servizi erogati alla collettività. Le concessioni sono un patrimonio pubblico e per tale motivo non possono essere svalutate[18] con un corrispondente arricchimento ingiustificato del partner privato; a ragione di ciò è sufficiente richiamare il principio di rango comunitario sancito dall’art. 2 del Codice, laddove “l’affidamento e l’esecuzione di opere lavori pubblici, servizi e forniture, ai sensi del presente codice, deve garantire la qualità delle prestazioni e svolgersi nel rispetto dei principi di economicità…”.
Il secondo contenuto obbligatorio del bando, ai sensi dell’art. 153, comma 3, lett. b) del Codice, prescrive che, in caso di rifiuto del promotore di apportare le modifiche indicate, l’amministrazione ha la facoltà di chiedere ai concorrenti successivi in graduatoria l’accettazione del contratto con le modifiche. Il primo dei concorrenti in ordine di chiamata che esprime il consenso succede nella qualifica di promotore e si assicura la sottoscrizione del contratto. Questa disposizione tiene il promotore sotto pressione per l’accettazione delle modifiche alla sua offerta e, soprattutto, solleva la PA dal “ricatto” della mancanza di aggiudicatari alternativi. Il potere regolatorio della PA di ottenere le modifiche dal promotore è fortificato dalla minaccia di poter perdere il contratto. Si osservi come la sanzione sia necessaria specialmente quando la PA interviene sulla proposta riducendo le eventuali rendite ingiustificate, quando invece la richiesta di modifiche impone nuovi costi, il promotore non ha ragioni per rinunciare al contratto perchè il PEF viene obbligatoriamente riequilibrato.
Al promotore che dovesse recedere è, comunque, garantita una compensazione economica pari al costo di predisposizione dell’offerta non superiore al 2.5% del valore di investimento ai sensi del comma 12 dell’art. 153 del Codice. Il concorrente subentrato è tenuto al pagamento dell’indennizzo al promotore receduto e senza dubbio ne sopporterà integralmente il costo, non potendolo inscrivere nel PEF che regolerà il suo rapporto concessorio con la PA.
Ai sensi dell’art. 153, comma 10, lett. d), qualora si dovesse verificare il caso che la proposta non necessiti di modifiche, la PA procede direttamente alla stipula della concessione; la previsione certamente stimolerà gli aspiranti promotori a sottoporre “l’offerta perfetta” e la PA sarà tenuta a verifiche approfondite.
 
Il tempo delle modifiche della proposta
La nuova disciplina all’art. 153, comma 10 risolve la gran parte del problema del c.d. rischio amministrativo[19], imponendo l’attivazione obbligatoria della conferenza dei servizi[20] ai sensi dell’art. 97 del Codice, sul progetto preliminare presentato dal promotore anche ai fini della valutazione di impatto ambientale. Questo rischio è legato ai pareri, autorizzazioni, nulla osta comunque denominati che devono essere rilasciati da quegli enti della PA che presiedono la tutela di interessi pubblici specifici come quello ambientale, paesaggistico-territoriale, storico-artistico, della salute e della pubblica incolumità. Nel sistema previgente accadeva alla PA di esprimersi sulla conformità del progetto a questi differenti interessi imponendo delle prescrizioni in momenti successivi alla pubblicazione dell’avviso ex previgente art. 153, comma 3, del Codice; rischiando così di far saltare il PEF di ogni proposta e, dunque, il “banco” della finanza di progetto. Le prescrizioni onerose, portatrici di nuovi costi, che intervenivano successivamente alla presentazione delle proposte o che modificavano il lay-out progettuale, rendevano insensato il procedimento rivolto all’individuazione del miglior progetto, falsando, in particolari circostanze, la concorrenza, ed espandevano senza controllo i tempi del già lungo procedimento. Poiché la volontà della PA si manifestava “a rate”, la soluzione era di provocare, prima della chiamata del mercato mediante l’avviso, le prescrizioni che i concorrenti dovevano tenere a mente quando presentavano le proposte. La strategia operativa per far emergere la volontà della PA in anticipo rispetto alla presentazione delle offerte, si attua mediante l’uso tempestivo dell’accordo di programma e della conferenza di servizi o, meglio, delle conferenze di servizi[21]. La soluzione prospettata dal Codice, imponendo l’utilizzo la conferenza di servizi sul progetto preliminare del promotore, rimuove con forza di legge gran parte del rischio amministrativo, come abbiamo detto prima risolvibile solo in via di diligente prassi amministrativa, ma non risolve con pari vincolatività quello di efficienza della gara; gli aspiranti promotori presentano le proposte già potenzialmente confliggenti con le prescrizioni che verranno rese dalle varie autorità pubbliche.
I costi delle modifiche progettuali imposte dalla conferenza di servizi e dalla valutazione di impatto ambientale devono essere sostenute dal promotore stesso, ai sensi del comma 10, lett. c) dell’art. 153 del Codice. La norma accollando al promotore aggiudicatario il carico dei sunk costs di modifica del progetto, lo fidelizza ancor di più nel suo proposito di proseguire nella gara e, inoltre, neutralizza la reazione di censura immediata che potrebbero generare quelle proposte non linea con la prassi largamente riconosciuta: in altre parole la PA può permettersi di scegliere anche quelle proposte di cui ha coscienza che avranno necessità di pesanti modifiche, richieste sia dalla stessa PA come dalle altre “anime” della PA che si pronunceranno in sede di conferenza di servizi.
 
Il criterio per comparare le offerte
Il momento valutativo delle offerte nel procedimento monofasico è determinante perché la scelta individua immediatamente l’aggiudicatario, salva la sua facoltà di recedere in caso di modifiche non gradite. Il criterio di valutazione delle proposte è stato sensibilmente modificato rispetto a quello che presidiava la dichiarazione di pubblico interesse: infatti, ai sensi dell’art. 153, comma 4 del Codice, “le amministrazioni aggiudicatrici valutano le offerte presentate con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 83”. Il Legislatore pur facendo propri i vincoli imposti alla discrezionalità dall’offerta economicamente più vantaggiosa (OEV) ha comunque tenuto conto della specificità dei contratti complessi con due prescrizioni:
1) la prima, indicata al comma 5 dell’art. 153 del Codice, riguarda gli elementi di giudizio. I tradizionali criteri di valutazione dell’OEV, elencati dalla lett. a) alla lett. o) dell’art. 83, comma 1 del Codice, sono stati estesi “agli aspetti relativi alla qualità del progetto preliminare presentato, al valore economico e finanziario del piano e al contenuto della bozza di convenzione”. Questi criteri aggiuntivi di valutazione devono intendersi obbligatori e non esemplificativi, senza la possibilità di essere omessi secondo le circostanze, come invece è possibile per quelli indicati dall’art. 83 del Codice;
2) la seconda, inserita al comma 5 dell’art. 153 del Codice, impone che i criteri vengano inseriti nel bando “secondo l’ordine di importanza loro attribuita, in base alla quale si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte”. In questo caso sembra evidente l’intenzione di rendere prescrittiva l’indicazione contenuta nell’ art. 83, comma 3 del Codice, in particolare di non precisare “la ponderazione relativa da attribuire a ciascuno di essi, anche mediante una soglia espressa con un valore numerico determinato…”. Infatti, per i contratti complessi la ponderazione tra criteri è piuttosto critica e può dare dei risultati indesiderati; intuitivamente è illogico utilizzare dei rigidi metri di giudizio per comparare delle proposte diverse tra loro, la soluzione è di indicare solo l’“ordine decrescente di importanza”.
La combinazione di queste due prescrizioni costituisce un sistema flessibile di valutazione delle offerte, che introduce degli elementi che vincolano la discrezionalità della PA ma non al punto da indurla a commettere scelte indesiderate in nome della trasparenza. Per comprendere il passo compiuto si noti come sia stato certamente abbandonato il criterio di massima discrezionalità che caratterizzava la dichiarazione di pubblico interesse[22] nel sistema previgente. Infatti, il criterio dell’OEV costituiva solo una facoltà autovincolante della PA e la discrezionalità di scelta non era limitata ne dalla ponderazione dei criteri di valutazione delle offerte e neppure dall’indicazione dell’ordine decrescente dei criteri. C’era l’opportunità di esercitare una discrezionalità amministrativa pura[23].
Il nuovo sistema, introducendo l’obbligatorietà dell’OEV e l’indicazione dell’ordine di importanza dei criteri, ha mantenuto per la PA la capacità di cogliere le proposte con soluzioni innovative. Infatti, se la computazione dei criteri di valutazione venisse rigidamente indicata ex ante, ciò non permetterebbe di premiare in modo appropriato le proposte con caratteristiche il cui valore non era immaginato al momento della pre-determinazione. In questo modo la PA evita di essere costretta da ponderazioni fisse quando ancora non ha preso visione delle offerte che il mercato è stato capace di proporre; gli operatori economici puntano proprio sul valore dell’innovazione per assicurarsi l’aggiudicazione del contratto. Questa maggiore flessibilità nella valutazione, non esclude che la PA decida, comunque, di autovincolarsi ex ante, tramite la ponderazione dei criteri e l’assegnazione di pesi e punteggi, qualora si trovi più a suo agio nella gestione del procedimento.
Inoltre, in questo caso si sottolinea l’importanza della valutazione qualitativa sul progetto, sulla convenzione e sul PEF, perchè il giudizio su di essi consente di mirare alla sostanza dell’offerta. La necessità di dare questi giudizi aperti e determinanti per l’assegnazione finale del contratto, introduce fin da subito la competizione sul progetto, sulla convenzione e sul PEF. Nel regime previgente, i concorrenti, al momento della presentazione delle proposte, trascuravano la definizione qualitativa di questi documenti fondamentali, che veniva rimessa alla successiva negoziazione, sempreché la PA fosse stata in grado di migliorarla.
Nel sistema vigente i concorrenti non possono più permettersi di tenere atteggiamenti di opportunismo pre e post contrattuale, presentando progetti, convenzioni e PEF che occultino informazioni importanti o che espongano previsioni e dati di input non veridici o inseriscano clausole vessatorie e depauperanti per la PA. Il rischio di essere messi fuori gara per i giudizi rivelatori di carenze di ogni tipo, dai dettagli ai requisiti strutturali, su questi documenti determina decisamente l’innalzamento qualitativo delle offerte presentate.
 
I termini e i contenuti delle offerte
La scansione del procedimento del promotore monofase deve osservare tempi di predisposizione documentale appropriati per una gara che abbia l’obiettivo di acquisire la migliore proposta realizzabile dal mercato.
Ai sensi del comma 2 dell’art. 153 del Codice, alla base di ciascuna gara deve esserci la predisposizione dello studio di fattibilità redatto dall’amministrazione aggiudicatrice o adottato ad iniziativa di terzi ai sensi del comma 19. Lo studio di fattibilità è anche la misura per stabilire il valore della concessione ai fini dell’applicabilità delle regole di pubblicazione del bando sopra e sottosoglia[24], e, ai sensi dell’art. 153, comma 9 del Codice, viene utilizzato per determinare il valore dell’investimento su cui calcolare il 2.5%, limite massimo del costo di predisposizione delle offerte.
Se da un lato sono stati introdotti degli elementi di flessibilità di valutazione delle offerte per catturare l’innovatività delle proposte, dall’altro si è cercato di ridurre al minimo la loro disomogeneità e ciò per la duplice ragione di renderle facilmente comparabili e allo stesso tempo di evitare al mercato il costo di redazione di proposte non bene allineate al pubblico interesse, che riscuoterebbero solo scarso apprezzamento[25]. Il comma 7 dell’art. 153 del Codice, quando sancisce che il “disciplinare di gara, richiamato espressamente nel bando, indica la descrizione dell’intervento da realizzare, la destinazione urbanistica, la consistenza, le tipologie del servizio da gestire, in modo da consentire che le proposte siano presentate secondo presupposti omogenei”, stabilisce appunto che ai futuri concorrenti deve essere offerta una potenziale matrice entro cui devono “disegnare” la propria offerta.
La nuova disciplina non indica il termine per la presentazione delle offerte: si devono evitare interpretazioni formalistiche e procedere avendo riguardo agli scopi che la PA si prefigge con la gara, i.e. stimolare la concorrenza e l’innovazione. Per questa ragione non potrà essere adottato il termine eccessivamente breve di 52 gg. dalla data di trasmissione del bando di gara, prescritto per l’assegnazione della concessione ad iniziativa pubblica, disciplinata dall’art. 144, comma 1 del Codice.
Poiché l’aggiudicatario è scelto in una sola battuta, deve essere individuato un termine sufficientemente ampio per consentire alle imprese di aggregarsi ed accettare la sfida di produrre innovazione e al mercato creditizio di sostenere finanziariamente la proposta. Il termine minimo dovrebbe essere quello di 180 gg., collaudato dalla disciplina previgente nel procedimenti ad iniziativa privata: prima del secondo decreto correttivo del Codice, D.Lgs 113/07, tale termine era sostanzialmente il tempo intercorrente tra la data di approvazione del programma dei lavori pubblici e la scadenza del 30 giugno di ciascun anno per la presentazione delle proposte, dopo il D.Lgs. 113/07 esplicitamente “le proposte sono presentate entro 180 giorni dalla pubblicazione dell'avviso indicativo”.
Per analogia sistematica e a conferma dell’indicazione prospettata, il termine minimo di sei mesi per presentare le proposte dall’approvazione dell’elenco annuale è sancito dal nuovo comma 16 dello stesso art. 153 del Codice, con riguardo ad un ulteriore e diverso percorso di individuazione del promotore.
La riflessione sul tempo di presentazione delle offerte con riguardo ai contratti complessi non si esaurisce con la definizione del termine minimo, va estesa all’individuazione del termine appropriato per ciascuna gara. Si evidenzia al riguardo come la giusta mentalità regolatoria sia già indicata dall’art. 70, comma 1 del Codice, stabilendo infatti che le PA “nel fissare i termini per la ricezione delle offerte … di partecipazione, … tengono conto della complessità della prestazione oggetto del contratto e del tempo ordinariamente necessario per preparare le offerte, ed in ogni caso rispettano i termini minimi”.
La definizione caso per caso del giusto termine è una misura regolatoria che permette di aprire le gare nazionali al mercato europeo, spesso bloccato da barriere all’entrata per termini eccessivamente ridotti, inadatti a presentare proposte credibili per progetti complessi (autostrade, metropolitane, ferrovie, aeroporti, etc.)[26].
Il contenuto obbligatorio delle offerte differisce rispetto alla previgente disciplina. Ora è richiesto un minor numero di documenti, in particolare si tratta dello studio di inquadramento territoriale ed ambientale, dello studio di fattibilità, dell’indicazione delle garanzie offerte e dei criteri da far utilizzare alla PA nella valutazione delle proposte. Le ragioni di queste sottrazioni sono varie, mentre la richiesta dei criteri di valutazione delle offerte indicate dai promotori erano illogiche visto che la gara la conduceva la PA, invece è divenuta superflua l’indicazione delle garanzie perché l’attuale procedimento le impone obbligatoriamente. Lo studio di inquadramento territoriale ed ambientale e lo studio di fattibilità sono resi inutili dallo studio di fattibilità valido per tutti i concorrenti predisposto dalla PA e posto a base di gara. In questo modo la PA si assume la responsabilità ed il dominio di tutti quei dati necessari per redigere le offerte. Anche in questo caso è importante una precisazione, l’analisi della domanda effettiva da cui sono desunte le linee di ricavo di un progetto e i costi di realizzazione e manutenzione ma anche altre specificità dell’offerta, tradizionalmente contenuti nello studio di fattibilità predisposto dal promotore non più richiesto, devono comunque essere rappresentati e motivati nella relazione al PEF, specialmente quando si discostino da quelli indicati nello studio redatto dalla PA e posto a base di gara.
 
Il sistema delle garanzie
Le garanzie richieste per partecipare alla gara sono coerenti con il procedimento monofasico. Con la presentazione dell’offerta è obbligatorio produrre la cauzione del 2% del valore dell’investimento, ex art. 75, comma 1 del Codice, e quella già analizzata a copertura dei costi di predisposizione dell’offerta pari al 2.5% del valore di investimento. Tale garanzia a carico del concorrente aggiudicatario copre le spese di predisposizione della proposta del promotore nel caso rinunci all’aggiudicazione per non avere accettato le richieste di modifiche all’offerta.
Una volta individuato l’aggiudicatario questi dovrà presentare la consueta cauzione definitiva ai sensi dell’art. 113, comma 1 del Codice pari al 10% del valore dell’investimento.
L’importante novità, disciplinata dall’art. 153, comma 13, è costituita dall’obbligo di presentazione della garanzia gestionale nella misura del 10% del costo annuo operativo di esercizio. La norma non si limita all’introduzione della cauzione ed a indicare il massimale assicurato ma si spinge più in la, precisando che è costituita “a garanzia delle penali relative al mancato o inesatto adempimento di tutti gli obblighi contrattuali relativi alla gestione dell’opera”. La precisazione contiene una filosofia regolatoria essenziale nella definizione dei contratti complessi, infatti la statuizione non solo qualifica la fase gestionale, pressoché ignorata dalla codificazione precedente, ma soprattutto da una precisa indicazione alla PA di come deve congegnare il contratto di concessione funzionante: tramite l’elencazione degli obblighi del concessionario, l’approntamento di penali in caso di mancato o inesatto adempimento ed, infine, la copertura delle penali con la nuova garanzia gestionale a prima richiesta.
L’unico sistema che consente di mantenere la tensione contrattuale, garantendo il mantenimento degli standard qualitativi dei servizi per i lunghi periodi concessori, è approntare una filiera di responsabilizzazione che leghi gli obblighi del concessionario ad una sanzione, resa effettiva da una garanzia concessa da terzi. La chiarezza delle definizioni degli obblighi contrattuali, l’oggettività del rilevamento degli inadempimenti e l’automatismo della sanzione sono essenziali per rendere “corta” la filiera e produrre un efficace effetto deterrente sul concessionario, direttamente e tramite i finanziatori: ancora una volta è la competenza regolatoria della PA che deve redigere il contratto tramite incentivi e penalità. Si noti come l’obbligo di prestazione della garanzia contribuisca a selezionare a monte un gestore qualificato; nessun assicuratore la presterebbe ad un concessionario incapace. L’importanza di questa garanzia è talmente cruciale che la mancata presentazione configura un grave inadempimento contrattuale (art. 153, comma 13) e, ciò, consentirebbe alla PA di risolvere il contratto e incamerare la cauzione definitiva.
Al termine di questa disamina emerge un sistema autobilanciante di garanzie che sostiene il mantenimento delle performance contrattuali.
 
 
4. Il PROMOTORE BIFASICO
 
Il procedimento del promotore bifasico, disciplinato al comma 15 dell’art. 153 del Codice, è scandito in due tempi, nel primo tramite una selezione competitiva viene scelto il promotore, nel secondo, mediante il miglioramento concorrenziale della sua offerta, viene individuato l’effettivo aggiudicatario. Il bando, per il rinvio al comma 15 dell’art. 153 del Codice, deve essere pubblicato secondo le modalità già esaminate per il promotore monofase, ma deve contenere, invece della previsione dell’immediata aggiudicazione al promotore, l’attribuzione del diritto di prelazione. Il criterio di selezione del promotore in prima fase mediante l’OEV è il medesimo adottato dal comma 3, riferito al promotore monofase. Il promotore potrà esercitare il diritto di prelazione, se lo valuti conveniente, adeguando la propria offerta a quella ritenuta più vantaggiosa a conclusione della seconda fase concorrenziale nella quale risulti perdente.
 
Il diritto di prelazione
La reintroduzione del diritto di prelazione rende opportuno un approfondimento. Il diritto di prelazione ha avuto l’effetto, sin dalla sua introduzione con la legge 166/02, di accelerare l’uso del procedimento con il promotore, portando in crescita il mercato delle concessioni, anche se ciò è avvenuto con ritmi tumultuosi senza la necessaria riflessione. L’euforia che ha accompagnato l’attivazione dei procedimenti in molti casi ha deresponsabilizzato la PA sulla delicatezza del processo a cui sovente seguiva la presentazione di proposte. Quando il secondo decreto correttivo al Codice, il D.Lgs. 113/07, ha espunto il diritto di prelazione ci si spettava una contrazione del numero e del valore dei procedimenti con il promotore che, però, è stata smentita dai valori in crescita riportati dai principali Osservatori[27]. Una spiegazione verosimile di questi risultati controintuitivi è che il diritto di prelazione, in prima battuta, ha agito come innesco allo sviluppo del mercato del PPP; una volta esaurito lo slancio, a sostenere il mercato delle concessioni sono intervenute altre ragioni strutturali come la scarsità di risorse, i limiti all’indebitamento pubblico, l’efficacia come strumento di comunicazione politica, l’innalzamento della competenza della PA, etc.
Anche quando il D.Lgs. 113/117, ha eliminato il diritto di prelazione per le giuste critiche sugli effetti distorsivi della concorrenza[28], l’incentivo rimaneva un’opzione possibile a disposizione della stazione concedente a condizione di correggerne gli effetti distorsivi sul mercato, i.e. laposizione dominante anticoncorrenziale di cui era portatore.
Queste riflessioni consentono di gestire al meglio la prelazione ora che è stata reintrodotta nel Codice e di segnalare l’importanza del rimedio approntato, disciplinato dal comma 15, lett. e) dell’art. 153 del Codice, per mitigare gli effetti anticoncorrenziali che genera. Infatti il concorrente aggiudicatario, che subisce l’esercizio della prelazione, deve ricevere una compensazione economica pari al costo sostenuto dal promotore per la predisposizione della proposta a base di gara nel limite del 2.5% dell’investimento. Poiché tale valore è di gran lunga superiore a quello sostenuto dal concorrente per migliorare l’offerta del promotore in questa seconda tornata, la compensazione dovrebbe essere uno stimolo efficace per indurre i concorrenti a partecipare anche in presenza della minaccia del diritto di prelazione. Nel caso in cui il promotore rinunci all’esercizio della prelazione, trascorsi 45 gg dalla comunicazione del vincitore, ha diritto di essere compensato dall’aggiudicatario delle spese di predisposizione della proposta.
Si segnala come il meccanismo di rimedio all’anticoncorrenzialità della prelazione sia parzialmente analogo a quello già sperimentato prima della Merloni-quater e come questo abbia generato comportamenti opportunistici rivolti all’accaparramento del premio per la sola partecipazione, presentando offerte migliorative minime rispetto alla proposta del promotore a base di gara.
A questo punto la competenza regolatoria della PA procedente, cosciente delle alterazioni generate dalla prelazione e del comportamento opportunistico dei concorrenti per effetto del rimedio, dovrebbe porre in essere un accorgimento per superare l’impasse, condizionando l’effettiva erogazione dell’incentivo al raggiungimento di un certo livello di economie a vantaggio della PA[29]. La PA al termine della prima fase e dopo avere analizzato quali siano le rendite ingiustificate radicate nella proposta, riconoscerà l’incentivo all’aggiudicatario che ha subito la prelazione, a condizione che la sua offerta migliori il costo della proposta almeno al valore ritenuto equo dall’amministrazione per conseguire il value for money.
 
La seconda fase
Il procedimento bifasico, rispetto a quello monofasico, riduce l’ampiezza della discrezionalità esercitabile dalla PA nella conduzione della gara, in particolare introduce dei limiti alla richiesta di modifica dell’offerta del promotore e nelle modalità di esercizio dell’OEV nel successivo confronto concorrenziale. In ragione del fatto che la gara nella seconda fase consente di ridurre le rendite della proposta, le richieste di modifica dell’offerta al promotore dovrebbero limitarsi a quelle indicate dall’amministrazione procedente e a quelle emerse in conferenza dei servizi, sempre con i conseguenti adattamenti del PEF. La PA non potrebbe spingersi, salvo macroscopiche evidenze, a chiedere al promotore di diminuire i costi di costruzione dell’opera pubblica e dei servizi erogati alla collettività proprio perchè sarà la concorrenza ad adeguarli ai valori di mercato nella seconda fase.
Mentre, ai sensi dell’art. 153, comma 15 del Codice, il criterio dell’OEV per l’individuazione del promotore ricalca quello del procedimento monofase, invece ai sensi dello stesso comma 15, lett. c) del Codice, il modello di OEV, che presiede questa gara è strettamente disciplinato dell’art. 83 del Codice, senza la possibile estensione del giudizio sul valore del progetto, del PEF e della convenzione. Il disegno procedurale che emerge realizza una prima fase in cui la proposta del promotore viene modificata secondo le richieste della PA, costituendo una base unica per la successiva gara, poi nella seconda fase si realizza il confronto concorrenziale solo sugli aspetti riconducibili agli elementi economici. Si deve evidenziare come la competenza regolatoria della PA debba spingersi a creare le condizioni ideali di mercato, anche con lo studio del mercato prima di lanciare la gara e con l’abbattimento delle barriere all’entrata, per consentire di avere pressione concorrenziale nella seconda fase, altrimenti non si potrebbero conseguire i risultati di economicità nell’affidamento dei contratti pubblici tutelati dai principi di rango costituzionale.
 
 
5. Il PROMOTORE ADDITIVO
 
Questo terzo procedimento di aggiudicazione di un contratto complesso non è a soluzione unica, infatti, dopo una fase comune, che culmina con la dichiarazione di pubblico interesse, la PA può scegliere, a ragione delle diverse circostanze, uno dei tre percorsi di affidamento elencati nell’art. 153, comma 16, sub lett. a), b) e c). La disciplina sostanziale di ciascun sub-procedimento è un ibrido tra elementi del promotore monofasico, ex art. 153, comma 1 del Codice, con, rispettivamente, il dialogo competitivo, ex art. 58 del Codice, l’aggiudicazione della concessione ad iniziativa pubblica, ex art. 144 del Codice, e il promotore bifasico, ex art. 153, comma 16 del Codice.
Questi multipli esiti combinatori sono condizionati a monte dall’inazione della PA, la quale, dopo avere inserito nell’elenco annuale l’opera pubblica da realizzare, rimane inerte senza far seguire la pubblicazione del bando di gara.
La precondizione affinché s’inneschi il procedimento additivo è che l’opera sia inserita nel programma annuale, questo per avere la certezza della copertura finanziaria di un’eventuale contribuzione pubblica e per il rispetto della prescrizione di cui all’art. 128, comma 6 del Codice; è opportuno precisare, comunque, come ciò non sia sufficiente, infatti è determinate che la PA abbia al contempo indicato di utilizzare uno dei due processi di affidamento del promotore, o il monofasico o quello bifasico, previsti dall’art. 153 del Codice, rispettivamente al comma 1 e al comma 15. Deve essere respinta la tentazione interpretativa di ammettere l’uso di questo percorso anche al caso di inerzia programmatoria riferita alla realizzazione di opere pubbliche mediante gli appalti tradizionali, facendo leva sul risparmio di risorse pubbliche qualora il mercato ne individui la possibilità. Si oppone a questo ragionamento la prerogativa della PA di scegliere il contratto di realizzazione dell’opera pubblica tra l’appalto o la concessione[30]. Il caso contrario potrebbe condurre all’ingestibilità dei procedimenti inseriti da terzi nell’agenda delle amministrazioni pubbliche, senza alcun riguardo delle scelte compiute in conseguenza delle priorità assegnate a ciascun intervento programmato. Inoltre, la relazione di accompagnamento alle modifiche del Codice è chiara sulla corretta interpretazione quando si riferisce alla “mancata pubblicazione … del bando per l’individuazione del promotore” e non all’individuazione dell’appaltatore o di un più generico contraente.
In queste condizioni, la presentazione della proposta da parte degli aspiranti promotori è additiva nella misura in cui costringe la PA ad intraprendere un percorso di aggiudicazione diverso da quello, monofasico o bifasico, che l’amministrazione aveva programmato ma non perseguito.
L’azione di impulso del mercato sulla PA, mediante la presentazione delle proposte, può essere esercitata in una finestra temporale di quattro mesi: non prima che siano trascorsi sei mesi dall’approvazione dell’elenco annuale delle opere pubbliche e non oltre dieci mesi dallo stesso dies a quo. Prima dei sei mesi la mancata pubblicazione del bando non legittima la reazione del mercato e nei quattro mesi successivi, la presentazione della proposta inibisce la pubblicazione tardiva del bando da parte della PA; tale possibilità si riapre al loro scadere.
La presentazione anche di una sola proposta presentata dagli operatori privati mette fuori gioco l’intenzione procedimentale della PA espressa in fase programmatoria. La PA è tenuta, entro 60 giorni dalla scadenza del termine utile per la reazione additiva del privato, a pubblicare un avviso seguendo le forme di pubblicità ordinarie dei bandi sopra o sottosoglia comunitaria in dipendenza del valore della concessione. L’avviso è un vero e proprio bando e deve comprendere sia gli opportuni contenuti strategici[31] che quelli obbligatori[32] attribuiti da dottrina e giurisprudenza formatasi sull’avviso di sollecitazione delle proposte del previgente art. 153 del Codice. Inoltre, il bando deve dare il termine di tre mesi per presentare sia le nuove proposte che quelle già presentate ma rielaborate alla luce dei criteri formulati per la dichiarazione di pubblico interesse.
 
L’analisi delle proposte additive
A questo riguardo ci si domanda quali siano i limiti al potere della PA di esame, valutazione e comparazione delle proposte presentate nei quattro mesi consentiti per attivare il procedimento additivo, in considerazione del fatto che successivamente le stesse proposte potranno essere ulteriormente rielaborate e ripresentate a seguito della pubblicazione dell’avviso. In altre parole cosa dovrebbe fare la PA tra l’esclusiva verifica della completezza formale della documentazione, quale condizione sufficiente per procedere alla pubblicazione dell’avviso, e l’analisi compiuta della proposta, prendendo ispirazione anche per l’elaborazione dell’avviso ? La risposta dovrebbe superare l’obiezione che, in questo secondo caso, potrebbe ventilarsi la violazione della par condicio nei confronti di tutti quei concorrenti la cui proposta viene valutata una volta sola al fine di dichiararla di pubblico interesse. Si ritiene, però, che tutti i concorrenti siano posti in condizioni di parità quando sottopongono le proposte sulla base dei criteri di valutazione indicati nell’avviso, tantochè anche ai proponenti additivi è consentito procedere alla rielaborazione delle proprie offerte proprio per cogliere il pubblico interesse[33]. In questa fase l’obiettivo principale della PA dovrebbe essere quello di verificare se il mercato abbia già elaborato delle proposte anche al fine di perfezionare l’avviso per la dichiarazione di pubblico interesse. Quelle prime proposte additive contribuiscono alla formazione progressiva dei desiderata della PA e consegnano alla PA l’importante messaggio che il mercato è pronto e risponderà. Queste considerazioni implicano che PA possa rimanere inerte volontariamente per consentirgli di “auscultare” il mercato e di precisare le idee piuttosto che procedere alla pubblicazione del bando a cui far seguire il procedimento con il promotore monofasico o bifasico. Sembra che le indagini conoscitive del mercato, tramite gli avvisi di sollecitazione di interesse, a schema libero e non vincolanti, che caratterizzano altri settori degli affidamenti pubblici, abbiano trovato in questo caso una più compiuta procedimentalizzazione.
 
La dichiarazione di pubblico interesse
La sedimentazione interpretativa accumulatasi sulla dichiarazione di pubblico interesse della previgente normativa rivive in questa fase. Infatti, ai sensi dell’ art. 153, comma 16 del Codice, la sollecitazione al mercato della proposta è denominata avviso e la sua pubblicazione segue le modalità dei bandi ai sensi dell’art. 66 o 122 del Codice, a seconda se l’investimento sia sopra o sottosoglia: ciò dimostra come il Legislatore curi la comunicazione al mercato più di quanto non abbia fatto nella disciplina previgente, consapevole che i mezzi di diffusione definiscono il perimetro del mercato dell’offerta[34]. Nell’avviso deve essere indicato il termine perentorio minimo di 90 gg per la presentazione delle proposte e i criteri in base ai quali la PA procede entro 6 mesi successivi alla dichiarazione di pubblico interesse.
Non deve, invece, essere indicato il sub-procedimento successivo alla dichiarazione di pubblico interesse: la scelta delle alternative è una prerogativa della PA, che potrà esercitare solo dopo aver eletto la proposta di pubblico interesse e che è tenuta ad attivare anche in mancanza di partecipanti a seguito della pubblicazione dell’avviso.
La PA procede alla dichiarazione di pubblico interesse valutando e comparando le proposte sollecitate dall’avviso. Le modalità di valutazione e comparazione delle proposte sono quelle disciplinate dall’espunto art. 154 del Codice, analizzate in questo documento, per evidenziarne le differenze, riferite al procedimento del promotore monofase per l’uso del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa[35]. In sintesi tale modalità di valutazione, utilizzando appieno la discrezionalità amministrativa più di ogni altro criterio di scelta presente nel Codice, consente di selezionare l’innovazione stimolando opportunamente il mercato. Anche in questa circostanza la PA può sempre decidere, al contrario, di autovincolarsi ex ante a pesi e punteggi predeterminati qualora si senta più confidente nella gestione della gara.
Si evidenzia come l’art. 153, comma 17 del Codice, obblighi il promotore a presentare la garanzia provvisoria del 2% dell’investimento ai sensi dell’art. 75 del Codice, che potrà essere escussa nel caso in cui questi non partecipi al seguito del sub-procedimento scelto dalla PA. Si noti come questa penale qualifichi la proposta del promotore, mantenendo fermo il suo proposito di andare fino in fondo.
 
I tre sub-procedimenti
La PA, una volta dichiarato il pubblico interesse della proposta, deve indicare quale sia il percorso di affidamento che vuole utilizzare tra il dialogo competitivo ex art. 58 del Codice, la procedura di affidamento ad iniziativa pubblica ex artt. 143 (144) del Codice e la seconda parte del procedimento bifasico ex art. 153, comma 15 del Codice: in questi ultimi due casi la norma, il comma 16 sub lett. b) e c), specifica che il promotore deve essere invitato alla gara.
La nuova disciplina facilita la scelta con una regola: qualora la proposta e il progetto necessitino di modifiche non si potrà adottare altro che il dialogo competitivo. Si tratta di un dialogo competitivo, la cui base di confronto è la proposta del promotore[36]; la gara è finalizzata a modificarla oltrechè ad eliminare le consuete rendite interne. Il promotore che non risulti aggiudicatario ha diritto al rimborso delle spese sostenute a carico dell’affidatario, nei limiti indicati dal comma 9, terzo periodo.
Quando, invece, il progetto e la proposta non necessitino di modifiche allora sono praticabili sia la procedura di affidamento ad iniziativa pubblica ex artt. 143 (144) del Codice che il procedimento bifasico ex art. 153, comma 15, limitato però alla seconda fase sub lett. c), d), e) ed f). Solo con riguardo a quest’ultima opzione procedimentale la norma, l’art. 153, comma 16 lett. c), assicura al promotore il diritto di prelazione e al concorrente che lo subisce il rimedio incentivante, già esaminato nel promotore bifasico, approntato per mitigarne l’anticoncorrenzialità. Invece per entrambi procedimenti vale la compensazione del promotore perdente a carico dell’affidatario, per il rinvio, limitatamente agli aspetti compensativi, fatto dal comma 18 al comma 15, sub let. e) ed f) dell’art. 153 del Codice. Inoltre, tutti e tre i sub-procedimenti pongono a carico dei partecipanti il sistema coerente di garanzie sancito dal comma 13: mentre la cauzione preliminare e quella per compensare il promotore perdente sono necessarie per partecipare alla gara, la c.d. garanzia gestionale, a carico dell’effettivo aggiudicatario, dovrà essere operativa  dalla data di inizio dell’esercizio del servizio.
 
 
6. COME ORIENTARSI TRA I PROCEDIMENTI CON IL PROMOTORE
 
La moltiplicazione delle soluzioni procedimentali per l’aggiudicazione delle concessioni rivela come il Legislatore abbia compreso a fondo il mercato dei contratti complessi. Tale mercato è caratterizzato dal lato dell’offerta da una costante vocazione all’innovazione in campo progettuale, finanziario e contrattuale, finalizzata ad aggiudicarsi il contratto.
La PA a fronte di un mercato così instabile e variegato è opportuno che sia dotata di diversi procedimenti di aggiudicazione, che gli consentano di essere efficace scegliendo quello più adatto alle condizioni in cui opera di volta in volta. La discrezionalità di natura regolatoria della PA dovrebbe individuare la soluzione opportuna; per questa ragione in questa sede possono essere delineati solo dei criteri orientativi di selezione delle procedure di aggiudicazione riferibili al sistema delle concessioni o più estensivamente dei contratti di partenariato pubblico-privato.
 
1.     Procedimento ad iniziativa pubblica – Affidamento mediante procedura ristretta
La procedura ristretta ex art. 144 del Codice, o finanza di progetto ad iniziativa pubblica, si adatta ad una PA che non abbia particolare esperienza nella gestione di processi complessi e che non sia in grado finanziariamente di acquistare tale esperienza sul mercato delle competenze o per quelle amministrazioni che puntano ad ottenere risultati efficienti in termini di tempi e costi. Il procedimento è costituto in modo tale da minimizzare la gran parte dei costi transattivi sia di parte pubblica che di quella privata. Inoltre, l’affidamento del contratto ad iniziativa pubblica ha tempi ridotti di aggiudicazione e l’esecuzione del contratto dovrebbe essere contenuta quando a base di gara sia stata predisposta un’accurata progettazione[37]. Tale sistema dovrebbe essere utilizzato per opere di valore medio piccolo, sufficientemente standardizzabili a basso tasso di complessità: parcheggi, impianti sportivi, edilizia cimiteriale, uffici pubblici, etc. In questo caso la PA conosce esattamente quali siano i propri bisogni e le caratteristiche delle opere pubbliche che possono soddisfarli e si rivolge al mercato per cercare l’operatore economico che garantisce quegli standard realizzativi e di gestione del servizio pubblico al costo più conveniente.
 
2.     Procedimento ad iniziativa privata - Promotore monofasico
Il procedimento del promotore monofasico ai sensi dell’art. 153, comma 1 del Codice, si colloca all’estremo opposto, adattandosi ad una amministrazione con forti competenze negoziali e spiccate capacità regolatorie; si ricorda come la PA debba simulare la concorrenza e imporre al promotore anche le necessarie modifiche economiche alla proposta. La PA deve essere dotata di un budget considerevole per sostenere i necessari costi transattivi di gestione del processo senza lesinare sul reclutamento di specialisti e per il loro coordinamento. Le opere da realizzare sono di taglia medio grande con un elevato grado di complessità non standardizzabile, tale per cui si chiede al mercato di proporre soluzioni non immaginabili dalla stessa amministrazione. L’obiettivo di questo procedimento è di catturare l’innovazione avendo la capacità di corrispondere ai privati un prezzo equo.
 
3.     Procedimento ad iniziativa privata - Promotore bifasico
Il procedimento con il promotore bifasico, ai sensi dell’art. 16, differisce da quello monofasico sostanzialmente per un elemento: in questo l’operazione di compressione delle rendite ingiustificate, e dunque di calmieramento dei costi di realizzazione dell’opera e di gestione del servizi alla collettività, è realizzato da una fase competitiva. La previsione di una seconda fase di gara rende il procedimento bifasico più facilmente gestibile dalla PA rispetto alla negoziazione diretta. Tuttavia, sarebbe opportuno utilizzarlo quando si valuti che per dimensioni, natura dell’opera e azioni della stessa PA si possa prevedere una certa pressione concorrenziale nella seconda fase, altrimenti si vanifica il vantaggio ottenibile con questa procedura.
 
4.     Procedimento ad iniziativa privata - Promotore additivo
Il promotore additivo, ai sensi del comma 16 dell’art. 153 del Codice, può essere a ragione ritenuto una alternativa procedimentale al promotore monofasico e bifasico, quando la PA deliberatamente ometta la pubblicazione del bando per provocare la reazione del mercato. Le ragioni che possono spingere la PA ad adottare questa legittima strategia sono: a) la volontà di sondare l’esistenza di un mercato disponibile quando ci sia incertezza sulla sua reale consistenza e determinazione di partecipazione alla competizione; b) la volontà di stimolare il mercato a mezzo della persistenza della comunicazione della domanda pubblica, prima a seguito dell’inserimento nella programmazione annuale, poi nell’avviso di ricerca del promotore ed infine nel bando che introduce uno dei tre sub-procedimenti.
In conclusione è utile rammentare come la scelta casuale di uno dei procedimenti con il promotore o dettata dalla tipica credenza della PA di risparmiare sui costi di redazione del progetto preliminare, della convenzione e del PEF, genera invece enormi costi per la collettività, causati dalle spese evitabili per gestire processi estremamente complessi e dall’inefficacia del procedimento così articolato rispetto al risultato che si vuole ottenere.
 

 


[1] Il mercato del PPP e i relativi procedimenti di aggiudicazione non conoscono battute d’arresto, vedi comunicato stampa Osservatorio Nazionale sul Project Financing (www.infopieffe.it) del 2 maggio 2006: ”le gare con queste procedure rappresentano alla fine del 2005 circa un quarto del valore della spesa appaltata nell’anno (9.511 milioni di euro su 38.148)”.
[2] Sull’evoluzione della discrezionalità dall’Unità d’Italia ad oggi si veda G. D. COMPORTI, Lo Stato in gara: note sui profili evolutivi di un modello, in Il Diritto dell’Economia, n. 2, 2007; G. ALPA, Aspetti civilistici del Codice dei contratti pubblici - Prime note, Economia e Diritto del terziario, n. 3, 2007, 749 e ss.
[3] Si veda la direzione intrapresa dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici nella relazione di L. GIAMPAOLINO, Una nuova politica per le opere pubbliche in Italia: le difficoltà da una iper-regolamentazione, Forum OICE, novembre 2007, p. 5, dove si legge: “L’Autorità guarda alla materia degli appalti in una luce nuova, come strumento funzionale al mercato inteso come valore da promuovere e tutelare.”; anche il CNEL, La finanza di progetto, Osservazioni e Proposte, documento 9 aprile 2008, ritiene che lo “Stato deve intervenire sotto tre aspetti: promuovere la concorrenza, al fine di avere strutture di prezzo, qualità e costo più efficienti; promuoverne un livello qualitativo minimo adeguato, attraverso opportuni standard di qualità; promuoverne la solidarietà, nel senso che ne abbassa il prezzo sotto il costo, ove ritenuto opportuno, con integrazioni pagate attraverso le tasse.”.
[4] Consiglio di Stato n. 6727/06, n. 4811/07, n. 142/05, n. 6287/05, n. 2355/08; Tar Puglia-Bari n. 1117/06 e 1946/06, Tar Sicilia-Palermo n. 1358/04, Tar Campania-Napoli 9571/04 e 249/07, Tar Abruzzo-Pescara n. 99/05, Tar Lombardia-Brescia 398/07.
[5] Si veda TAR Emilia-Romagna, Sez. Bologna, n. 1552 del 23 aprile 2008, la Sentenza si segnala per il riconoscimento di funzione di guida della dottrina sul terreno della finanza di progetto: in particolare i principi elaborati dalla dottrina in idem sentire con la giurisprudenza sono deliberatamente i presupposti della decisione.
[6] Cosi in F. FRACCHIA, Finanza di progetto: i profili di diritto amministrativo, in Project financing e opere pubbliche a cura di G. F. Ferrari e F. Fracchia, Egea, Milano, 2004, pp. 37 ss. Inoltre, l’A. suggerisce di applicare al procedimento con il promotore la categoria di “operazione amministrativa” da cui discendono importanti conseguenze interpretative in una disciplina dove ci sono più vuoti che pieni: “In altri termini, l’oggetto di siffatta disciplina esibisce i sopra individuati caratteri di unitarietà, di preordinazione ad un medesimo risultato pubblicistico e di assoggettamento ai principi dell’attività amministrativa che segnalano l’esistenza della categoria dell’operazione amministrativa […] Se così è si riesce a giustificare la circostanza che l’intera operazione risulti rilevante ai fini della sua convenienza, della sua compatibilità ambientale o della legittimità della scelta amministrativa […]; infine, pare più agevole individuare un canone interpretativo utilizzabile per le disposizioni incerte e una serie di indicazioni circa le modalità di svolgimento dell’attività dell’amministrazione, soprattutto in relazione ai casi in cui essa deve effettuare valutazioni molto delicate.”
[7] Il contratto complesso rientra la nuova definizione di contratto di partenariato pubblico-privato inserita dal terzo decreto correttivo nel Codice dei contratti pubblici, D.Lgs. 152/08, all’art. 3, comma 15 ter: “Ai fini del presente codice, i contratti di partenariato pubblico privato sono contratti aventi per oggetto una o più prestazioni quali la progettazione, la costruzione, la gestione o la manutenzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità, oppure la fornitura di un servizio, compreso in ogni caso il finanziamento totale o parziale a carico di privati, anche in forme diverse, di tali prestazioni, con allocazione dei rischi ai sensi delle prescrizioni e degli indirizzi comunitari vigenti. Rientrano, a titolo esemplificativo, tra i contratti di partenariato pubblico privato la concessione di lavori, la concessione di servizi, la locazione finanziaria, l’affidamento di lavori mediante finanza di progetto, le società miste. Possono rientrare altresì tra le operazioni di partenariato pubblico privato l’affidamento a contraente generale ove il corrispettivo per la realizzazione dell’opera sia in tutto o in parte posticipato e collegato alla disponibilità dell’opera per il committente o per utenti terzi. Fatti salvi gli obblighi di comunicazione previsti dall’art. 44, comma 1-bis del decreto legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, alle operazioni di partenariato pubblico privato si applicano i contenuti delle decisioni Eurostat.”.
[8] Si veda l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, Relazione Annuale 2007, presentata l’8 luglio 2008, pp. 223-234. L’Autorità ha dedicato un capitolo per descrivere le procedure di aggiudicazione degli appalti complessi nei principali paesi europei, Regno Unito, Francia, Germania e Spagna così concludendo “Le singole discipline riguardanti l’aggiudicazione degli appalti complessi appaiono strutturate in modo da lasciare un buon grado di elasticità e un ampio grado di discrezionalità alle amministrazioni nell’adattare i modelli ai casi concreti. Le discipline di questi paesi non vedono la discrezionalità con sospetto ma anzi la considerano utile per garantire l’efficacia dell’azione amministrativa. […] La combinazione preferita in questi paesi, in conclusione, sembra quella tra discrezionalità regolata dai principi, piuttosto che da vincoli formali, versatilità e varietà dei modelli procedurali, responsabilità per le scelte e i risultati sostanziali e cooperazione e assistenza da parte di Autorità che, per posizione istituzionale e qualificazione tecnica, dispongano di una visone di insieme del mercato dei contratti pubblici.”.
[9] “Much of what we have said about auction design is no more than an application of standard antitrust theory” in KLEMPERER P., What Really Matters in Auction Design, Journal of Economic Perspectives, V. 16, N. 1, Winter 2002, p. 186.
[10] UTFP News n. 3, Il Mercato europeo del PPP: analisi, criticità e proposte, in www.utfp.it Approfondimenti, ottobre-dicembre 2008.
[11] Questa sviante prassi amministrativa e la corretta interpretazione che chiarisce l’obbligatorietà dello studio di fattibilità nelle operazioni con il promotore è stata sottolineata, con la richiesta di una precisazione normativa, nel documento UTFP, 10 Temi per migliorare il ricorso alla finanza di progetto, in sito web www.utfp.it, 2005, pp. 5 e ss. Nello stesso documento vengono suggeriti alcuni contenuti necessari dello studio di fattibilità per l’affidamento di contratti di concessione, in particolare l’analisi del value for money, l’applicazione del public sector comparator, la previsione dello scenario di fallimento, la previsione di una opportuna distribuzione dei rischi, la valutazione di impatto sul debito pubblico, etc.
[12] Per la centralità dell’avviso e la sua assimilabilità al bando vedi la determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, n. 8 dell’ 11 ottobre 2007.
[13] Il parere del Consiglio di Stato reso in adunanza del 14 luglio 2008, p. 9, sullo schema di decreto legislativo recante ulteriori modifiche ed integrazioni al D.Lgs. 163/2006, sottolinea come sia stato risolto il problema di pubblicità dell’avviso sollevato dalla Commissione europea laddove “al comma 3 si stabilisce che il bando di gara va pubblicato con le modalità di cui all’articolo 66 ovvero di cui all’articolo 120”.
[14] In particolare G. F. CARTEI, Finanza di progetto e modelli partenariali pubblico-privati: profili critici, in "Responsabilità e concorrenza nel codice dei contratti pubblici", a cura di G. F. Cartei, Napoli, Editoriale Scientifica, 2008, pp. 219-250.
[15] F. MERUSI, Certezza e rischio nella Finanza di Progetto delle Opere Pubbliche, in Finanza di Progetto a cura di Morbidelli G., Giappichelli, Torino, 2004, p. 20. L’Autore evidenziache, qualora non si chiedesse al mercato in regime di concorrenza di realizzare un’opera pubblica in finanza di progetto, si favorirebbero iniziative di tipo parassitario introducendo tra le spese dell’opera costi non necessari.
[16] Se ciascuna stazione appaltante si comportasse come una Autority dei contratti e antitrust si creerebbe un sistema a rete molto efficiente nella regolazione della conduzione delle gare, il cui nucleo denso è rappresentato dalle Autority nazionali. Sembra intravedersi la possibilità di un tale disegno in L. GIAMPAOLINO, L’attività di regolazione come strumento di efficienza del mercato dei contratti pubblici, Convegno Infrastrutture e servizi: Competitività e Regole, Roma 26 giugno 2008, laddove segnala l’esigenza di “Un grande patto, in un comune contesto di garanzie, soprattutto per aumentare gli investimenti pubblici e privati, (che) deve pertanto collegare in un circuito virtuoso Autorità, stazioni appaltanti, imprese e cittadini che, come utenti di servizi, devono entrare in un contesto bilaterale di segnalazioni e di informazioni.”.
[17] La Sentenza Tar Campania-Napoli n. 9571/2004, dichiara apertamente il compito della PA di controllare il PEF laddove “Alla stazione appaltante non è precluso l’accertamento della coerenza e della sostenibilità economica dell’offerta […] contenuto in re ipsa nell’esame del PEF […] non è dunque ammissibile la sottrazione del PEF -che questi equilibri spiega e giustifica- a una seria valutazione di sostenibilità della stazione appaltante […] Valutazione di sostenibilità che […] non può identificarsi o risolversi nell’asseverazione bancaria che […] non sostituisce la valutazione amministrativa ma ne costituisce un presupposto di partenza.” La coerenza e la sostenibilità del PEF riguarda anche la congruenza del contributo pubblico, la veridicità dei dati di input compresi i costi corretti di costruzione, di gestione, di strutturazione finanziaria, di domanda, etc.
Sull’esigenza di imporre una corretta distribuzione dei rischi tra PA e privato concessionario si sofferma la Sentenza Tar Lombardia-Brescia, n. 398/2007, precisa infatti che “L’allocazione del rischio deve quindi essere rispettosa degli indirizzi comunitari che definiscono la categoria della concessione e le forme di partenariato pubblico privato […] La ripartizione dei rischi si effettua caso per caso, in funzione della capacità delle parti in questione di valutare, controllare e gestire gli stessi […] La scelta del Comune di non sottoscrivere l’originario schema di convenzione è quindi giustificata dalla necessità di rimediare a una distribuzione dei rischi non conforme alle caratteristiche della concessione di lavori mediante finanza di progetto”.
[18] M. RICCHI, Finanza di Progetto, Contributo Pubblico, Controllo ed Equità (Le Concessioni sono Patrimonio Pubblico), in Il Diritto dell’Economia, n. 3, 2006, pp. 579 e ss. L’A. si sofferma sulla necessità di garantire una equità tra le parti nei contratti di concessione non solo alla firma del contratto ma per tutta la sua durata; ciò potrà avvenire solo inserendo delle clausole di retrocessione degli extra-profitti, non collegate agli effettivi rischi assunti dal concessionario e con un pregnante controllo contabile per evitare opportunismi post contrattuali, diversamente la PA potrebbe firmare dei contratti predatori delle sue stesse risorse.
[19] La soluzione di mitigare il rischio amministrativo, collegato alla localizzazione dell’opera e alle necessarie varianti al PRG, mediante un accordo di programma (facente funzione di conferenza di servizi) a monte della fase programmatoria è stata suggerita nel documento UTFP, 10 Temi per migliorare il ricorso alla finanza di progetto, in sito web www.utfp.it, 2005, pp. 24 e ss.
[20] G. D. Comporti, Voce: Conferenza di servizi, Dizionario di Diritto Pubblico diretto da S. Cassese, Giuffrè, Milano, 2006.
[21] La strategia suggerita nella prassi per abbattere integralmente il rischio amministrativo ed ottenere una migliore concorrenzialità in M. RICCHI, La regolazione di una operazione di PPP, in Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana, febbraio 2007, fasc. 2, pp. 161 e ss., laddove “La PA deve agire con una incalzante sequenza tra accordo di programma e conferenze di servizi per far emergere la sua volontà in anticipo rispetto alla presentazione delle proposte e stabilire il perimetro del progetto una volta per tutte, evitando che le prescrizioni dettate in tempi successivi falsino il processo di definizione dell’operazione e la gara tra i concorrenti.”.
 
[22] Vedi M. RICCHI, Negoauction, discrezionalità e dialogo competitivo, in Studi e Contributi www.giustizia-amministrativa.it .
[23] In questo senso è esplicita la Sentenza cit. n. 1552/2008 del TAR Emilia-Romagna-Bologna che descrive l’evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria della discrezionalità amministrativa nella dichiarazione di pubblico interesse; citando quest’ultima si parla di “un alto grado”, di “massimo margine”, di “valutazione di merito” e di “una scelta eminentemente politica”.
[24] UTFP News n. 1, Il valore europeo delle concessioni, in www.utfp.it Approfondimenti, aprile-giugno 2008, p. 8 e ss.
[25] Queste considerazioni e la richiesta di una precisazione normativa in tal senso sono state delineate nel documento UTFP, 10 Temi per migliorare il ricorso alla finanza di progetto, in sito web www.utfp.it, 2005, pp. 9 e ss.
[26] Come esempio europeo di un uso ragionevole del tempo di pubblicizzazione del bando relativo a contratti complessi leggasi il considerando 29 del Regolamento (CE) n. 1370/2007, relativo ai servizi di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia del 23 ottobre 2007: “Ai fini dell’aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico […] le autorità competenti dovrebbero adottare le necessarie misure per pubblicizzare, con almeno un anno di anticipo, il fatto che intendono aggiudicare tali contratti così da consentire ai potenziali operatori del servizio pubblico di attivarsi ”.
[27] Rassegna stampa Infopieffe www.infopieffe.it, Il Sole 24 Ore del 20 marzo 2008 “ Il project financing continua ad attirare le imprese di costruzioni; con l'entrata in vigore delle nuove regole che stabiliscono la perdita del diritto di prelazione per il promotore di un opera, da più parti si prospettava un blocco per l'avvio di nuove procedure e uno scarso interesse delle società nel partecipare a iniziative legate alla finanza di progetto. Emerge invece che lo strumento non ha perso appeal che enti e imprese pubblicano e concorrono con la stessa frequenza di prima. I dati di febbraio mostrano un bilancio positivo per il partenariato pubblico privato rispetto allo stesso mese di un anno fa. Secondo l'Osservatorio Nazionale del PPP le 88 iniziative censite, per un volume d'affari di oltre 620 milioni, registrano una crescita del 22% per il numero di avvisi, e del 33% in valore.”
[28] Sull’analisi delle inefficienze prodotte dal diritto di prelazione e come il Legislatore sia intervenuto per renderlo compatibile con il diritto comunitario si rinvia a G. FIDONE, Aspetti giuridici della finanza di progetto, Luiss University Press, Roma, 2006.
[29] Questa tecnica è stata formulata da M. RICCHI e L. GEMINIANI, Documento UTFP, Finanza di Progetto e Diritto di Prelazione. Clausole negoziali a difesa dai rischi di limitazione della concorrenza, www.utfp.it, 2007.
[30] Tale prerogativa della PA, riferita però all’inserimento programmatorio dell’opera e non come in questo caso al tipo di contratto per realizzarlo, è affermata con decisione dal parere del Consiglio di Stato del 14 luglio 2008, p. 9, laddove, censurando la previsione del promotore di poter integrare la programmazione senza filtro, indica “che comporta pericolose interferenze con quella attività di programmazione che è bene rimanga prerogativa della PA”.
[31] Ampiamente in M. RICCHI, La regolazione di una operazione di PPP, in Rivista Amministrativa della Repubblica Italiana, febbraio 2007, fasc. 2, pp. 161 e ss.
[32] Vedi Determinazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici cit., n. 8 dell’ 11 ottobre 2007.
[33] Anche l’inserimento nella programmazione dello studio di fattibilità predisposto da terzi, esaminata nel capitolo “Il coinvolgimento dei terzi nella programmazione”, rientra nella categoria dei vantaggi competitivi leciti: questi si caratterizzano perché gli viene riconosciuta una transitoria posizione dominante, destinata sostanzialmente a dissolversi nelle procedure concorrenziali successive. Tuttavia il vantaggio competitivo lecito in capo all’operatore economico è persistente se lo si individua nell’avere prima degli altri studiato il caso, predisposto una matrice-progetto adottata dalla PA nella quale si ritrova sicuramente a proprio agio e nell’avere intrapreso contatti con la PA procedente.
[34] UTFP News n. 1, Il valore europeo delle concessioni, op. cit.
[35] Per la ricostruzione della dichiarazione di pubblico interesse ex art. 154 del Codice previgente, vedi supra paragrafo “Il criterio per comparare le offerte”.
[36] CLARICH M., Il dialogo competitivo come forma di collaborazione tra pubblico e privato, Seminario Comitato 4P, Roma 27 settembre 2005; F. FRACCHIA e L. CARROZZA, “Il difficile equilibrio tra flessibilità e concorrenza nel dialogo competitivo disciplinato dalla direttiva 2004/18/CE”, 2004, in www.giustamm.it; G. FIDONE, Dalla rigidità della Legge Merloni al recepimento del dialogo competitivo: il difficile equilibrio tra rigore e discrezionalità, in Foro Amministrativo Tar, 2007, pp. 3971 e ss; M. RICCHI, Negoauction, discrezionalità e dialogo competitivo, op. cit.
[37] Questo è chiaramente il modello spagnolo, si veda A. GERMANI e M. RICCHI, Il sistema del Partenariato Pubblico Privato in Spagna - Un confronto con l’Italia, UTFP-PCM, febbraio 2008, in www.utfp.it .
I-38122 TRENTO - Via G. Verdi, 53 - tel. +39-0461-283509 - e-mail. appalti@jus.unitn.it
a cura di prof. Gian Antonio Benacchio e dott. Michele Cozzio